

Alla scoperta delle rovine dei ricordi della gioventù sovietica
TRADOTTO DA AGNESE BILIOTTI E CHANTAL DORN
L’istruzione dei futuri cittadini occupava un posto importante nella società sovietica e si traduceva soprattutto nell’organizzazione di campi estivi. Scopriamo insieme l’infanzia sovietica e la fine di un’ideologia attraverso un viaggio nei campi vacanze nella regione di Minsk, in Bielorussia.
L’era sovietica è stata accompagnata dalla creazione di numerosi nuovi principi, che hanno riorganizzato la vita dei tovarishi. Sono così nati termini come pioner (pionieri, gruppi obbligatori per tutti coloro che avessero un’età compresa tra i 10 e i 14 anni, secondo il modello degli scout), komsomol (organizzazione della gioventù comunista dell’URSS), kolkhoze (cooperativa agricola) o ancora profsoyuz (sindacato professionale).
All’epoca, i lavoratori sovietici ricevevano dei poutevki (biglietti) per i figli sul posto di lavoro. Principalmente finanziati dai profsoyuz, questi davano diritto a dei viaggi, una specie di ricompensa per il lavoro svolto durante l’anno scolastico. I giovani dai 7 ai 15 anni passavano così tre settimane vicino a corsi d’acqua o nella foresta. Siete pronti? Allora partiamo…
Storia di una tradizione
I primi campi estivi sono apparsi negli anni 20 del secolo scorso su iniziativa di Sinovii Petrovich Soloviev. Nati sotto forma di campeggio, si sono rapidamente sviluppati e modernizzati.
Il più conosciuto è sicuramente Artek, colonia che accoglieva sia bambini sovietici che studenti internazionali. Situato sulla costa del Mar Nero in Crimea, ospitava fino a 27.000 bambini all’anno. Il suo grande rivale, Orlenok, era della regione di Krasnodar, vicino alla città di Tuapse. Con più di 300 ettari di territorio, è aperto tutto l’anno, per il grande piacere dei visitatori.
Fine di un’epoca
In seguito alla caduta del blocco sovietico, alcuni campi estivi furono riformati e riadattati per continuare a ospitare bambini, ma molti sono stati abbandonati. In assenza di finanziamenti o di richiesta, gli ex edifici sono gli unici testimoni di questa epoca. Tra vetri rotti e pittura scrostata, la natura si impone a poco a poco su quelli che un tempo erano luoghi di divertimento. Un’intera epoca si legge attraverso questi cliché. Infanzie ricche di ricordi dei primi viaggi senza la sorveglianza dei genitori, riti specifici e un’organizzazione tipica di queste istituzioni costituiscono delle memorie straordinarie per un’intera generazione. “Mi ricordo soprattutto dei canti, tipici di ogni colonia, accanto al fuoco tutte le sere” racconta Loubov, vojatii (accompagnatore) che si è occupato di bambini per più di 15 anni.
Una giornata tipo
Ogni giornata iniziava verso le 8 nei grandi dormitori, costruiti tra gli alberi.
In una ventina di minuti, i bambini dovevano alzarsi, rifare il letto e prepararsi per uno dei rituali fondamentali: il raduno mattutino al centro. L’abbigliamento cambiava da campo a campo, ma tutti i bambini dovevano obbligatoriamente portare un foulard rosso al collo, come a scuola. Era d’altronde il segno distintivo di tutti i pioners.
In seguito, dividendosi in gruppi, chiamati otryad, i bambini seguivano i loro vojatii per andare a mensa.
La giornata proseguiva tra attività artistiche, giochi, competizioni sportive o escursioni.
Dopo il pranzo, i bambini tornavano nei dormitori per un’ora e mezza o due di. Ovviamente nessuno dormiva, ma non si facevano scoprire dai sorveglianti per non essere puniti. Nel pomeriggio, le attività riprendevano. Veniva poi il momento della cena, dopo la quale i giovani si ritrovavano per organizzare spettacoli, cantare accanto al fuoco, ballare o fare solo due chiacchiere.
Le luci si spegnevano verso le 21, ma pochi di loro rispettavano il copri fuoco. I momenti per cui questa generazione prova più nostalgia avevano luogo proprio alla sera. I bambini si raccontavano storie di paura sotto le coperte illuminando i loro volti con delle torce, mettevano il dentifricio in faccia agli amici che avevano avuto la sfortuna di essersi addormentati prima degli altri o uscivano a fare escursioni nella foresta e a vedere l’alba.
Battibecchi
Era sempre una guerra tra maschi e femmine. I primi nascondevano le scarpe delle ragazzine o lanciavano rane nei loro dormitori; in risposta, le femmine “tendevano una trappola” ai maschietti incollando le scarpe al suolo o organizzando una ronda nel dormitorio dandosi il cambio. Un altro modo per vendicarsi era quello di mettere un secchio d’acqua sulla porta d’entrata che si rovesciava all’apertura della stessa, bagnando così ogni intruso.
I principi dei campi estivi
Il concetto di tempo libero non esisteva e le giornate erano organizzate con diverse attività, più o meno a tema. I passatempi preferiti dell’epoca erano i giochi di spionaggio, di squadra o laboratori di scultura. Il programma era stabilito dai vojatii che si divertivano come pazzi a trovare nuovi modi per tenere occupati i bambini. Almeno una volta a settimana venivano organizzate anche gite nelle città vicine, al teatro o al circo.
I pasti erano molto equilibrati e i piatti seguivano le ultime tendenze in fatto di alimentazione diffuse nell’URSS.
I bambini cercavano sempre di portarsi dei dolcetti da casa, e i genitori inviavano loro pacchi pieni di caramelle, che mangiavano di nascosto. La condivisione era un principio fondamentale tra i bambini e le punizioni inflitte a un tirchio erano severe. La più frequente delle punizioni era la “stanza buia” che consisteva nel mettere il colpevole sotto una coperta e picchiarlo.
Alla fine del soggiorno si teneva un grande concerto, per il quale tutti si preparavano nel corso delle tre settimane di campo estivo.
Al momento della cerimonia di chiusura, dei premi erano distribuiti ai bambini, che si salutavano in lacrime.
In seguito, i bambini dovevano riabituarsi alla vita coi genitori… e riadattare il proprio vocabolario. Le vacanze nelle colonie erano i ricordi più vivi della generazione dei bambini sovietici. Abbandonati, gli edifici cadranno in rovina e spariranno, sprofondando a poco a poco nell’oblio.
Banner foto: viale principale. Fonte Eugénie Rousak.

Diplômée de Sciences Po Paris, je suis passionnée par l’économie, par la politique et par les voyages (surtout munie de mon appareil photo)!